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TUTTI GLI ADOLESCENTI
DOVREBBERO FARE IL LICEO?

Abstract

Secondo diversi politici e uomini di cultura italiani, soprattutto di un certo orientamento politico, 

«Tutti i ragazzi italiani di qualunque condizione sociale devono fare il liceo. … Gli studi professionali e tecnici devono essere rinviati a dopo».

Lo capisco. Sarebbe bello un mondo dove tutti apprezzino la filosofia, la storia, la storia dell’arte. O abbiano i mezzi per apprezzarli e poterli giudicare.

 

È vero che chi fa certi studi ha più capacita di comprendere le cose che li circondano.

Ma il mondo, per fortuna (o per sfortuna), non è fatto da persone con le stesse attitudini.

Una cosa del genere fa rigirare nella tomba pedagogisti del calibro di sir Ken Robbinson e saltare sulla sedia quelli ancora vivi. Un conto è dire che la scuola italiana di oggi non è adatta alle esigenze della attuale società, un conto è dire che tutti dovrebbero fare il liceo. In nessuna parte del mondo avviene questo.

 

Chi sogna una scuola del genere non è mai stato, non dico in un istituto tecnico, ma nemmeno in un istituto professionale, non ha mai fatto un corso di formazione per ragazzi usciti dal drop out. Ma basterebbe entrare in una scuola primaria per capire che i bambini e le bambine hanno, non solo attitudini differenti, ma anche contesti e reti sociali differenti che possano supportare o meno il loro apprendimento.

 

Prendiamo i figli di immigrati di prima generazione, che hanno difficoltà a studiare a casa perché nessuno li può aiutare. Come potrebbero affrontare un percorso di studi impegnativo senza una rete sociale? O prendiamo i ragazzi e le ragazze che vivono in situazioni di disagio sociale, familiare, culturale o economico. Famiglie che pensano che sia più importante andare a lavorare che studiare, o che hanno la necessità che i figli vadano a lavorare il prima possibile, o che comunque non rappresentino un costo. Perché studiare, sebbene sia un diritto riconosciuto dalla costituzione e che la scuola dell’obbligo dovrebbe essere gratuita, rappresenta un costo: libri, vestiti, trasporto, cibo, gite, ecc. ecc.

 

Ma soprattutto, è giusto, pedagogicamente parlando, proporre a tutti un unico standard di crescita e sviluppo delle passioni, capacità e attitudini?

 

Prima di dire che tutti debbano fare il liceo, credo sia importante chiedersi a cosa serve la scuola. E per rispondere a questa domanda, dovremmo dire che tipo di società vogliamo.

La società dove gli uomini liberi facevano studi del livello del liceo, era la società greca. Ma erano gli uomini liberi, ossia una minoranza che viveva grazie al lavoro, gratuito, degli schiavi.

 

È vero che nella scuola di oggi si sviluppino poco le competenze creative, ma questo non per la scuola ,ma perché in tanti, imprenditori in primis, credono che non servano. Stessa cosa per le competenze che studiare storia, filosofia, letteratura offrono. Siamo in una società che pensa che le competenze STEM siano più importanti, senza comprendere che la conseguenza storica di eventi, o l’evoluzione del pensiero, possono aiutare le imprese a superare i problemi legati al cambiamento, alla gestione del conflitto e allo sviluppo e la crescita delle relazioni umane.

 

 

È vero: la scuola di oggi non è in grado di rispondere, non solo alle esigenze del mercato delle imprese, ma, soprattutto alle esigenze di una nazione fatta di cittadini responsabili e consapevoli. Lo dicono tutti gli studi e le ricerche fatte da qualsiasi ente o associazione.

 

La prima domanda che mi porrei è quindi: vogliamo una nazione fatta di cittadini responsabili e consapevoli?

 

Non credo che tutte le fazioni politiche, tutte le lobby siano favorevoli a questa idea. A molti piace una nazione fatta di persone che non sempre comprendono gli effetti di quello che fanno ma che siano in grado di trovare un lavoro, dare uno stipendio in grado di far soddisfare i bisogni di possesso edonistico, più funzionale allo sviluppo economico.

 

Sicuramente Calenda, e io con lui, preferisce il modello di una scuola che formi cittadini consapevoli e non lavoratori consumatori. Ma siamo sicuri che, per formare cittadini consapevoli, la scuola adatta sarebbe quella di un liceo per tutti?

 

Sicuramente è necessaria una riforma della scuola, ma siamo sicuri che insegnare filosofia ad un ragazzo o ad una ragazza che non è interessata, aiuti a raggiungere quell’obiettivo?

Personalmente credo che sia necessario ripensare ai cicli della scuola.

Eliminare le medie, dove si forma, spesso un cortocircuito tra aspirazioni dei ragazzi/e motivazioni. Dove, non di rado, si tarpano le ali, perché è più facile mandare chi ha difficoltà ad apprende ad un istituto tecnico o professionale che ad un liceo. Dove si spengono gli entusiasmi.

 

Questo, anche con la complicità dei genitori, e dei ragazzi e delle ragazze abituati a fare la scelta più facile, dove si fatica di meno.

 

Una scuola che, al contrario, attraverso il riconoscimento del raggiungimento degli obiettivi, anche tramite le attività sportive o extrascolastiche, come l’arte, qualsiasi tipo di arte (teatro, danza, pittura, arti plastiche, musica, video, foto, ecc. ecc.) ma anche il gioco, qualsiasi tipo di gioco dallo sportivo a quello didattico, dalle costruzioni ai giochi da tavolo, potrebbe aiutare.

 

E qui faccio un'altra critica a Calenda: non credo che sia vietando i videogiochi o i telefonini che si aiutano i ragazzi e le ragazze a crescere. I miei figli usano il cellulare da quando hanno 11 anni, hanno avuto il primo pc a 9, hanno avuto la possibilità di avere, prima, la Wii e, poi, la Switch, da quando erano alla primaria, eppure leggono, ascoltano musica, studiano e hanno ottimi risultati. Sono stati educati alla curiosità, all’approfondimento, proponendo loro tantissime attività, non limitandole.

 

Ecco, credo che questo dovrebbe fare la scuola: offrire, fin dalla primaria, la possibilità di fare tantissime scelte, di assaggiare discipline, possibilità, per non precludersi nulla.

 

Una scuola che sia aperta h24, 7 giorni su 7, trecentosessantinque giorni l'anno. Lo so. Sto esagerando. Ma, capitemi: una scuola che sia in grado di essere, anche, parte, di quella rete che permetta a chi non ha i mezzi sociali, economici, culturali, per sviluppare le proprie potenzialità.

Una scuola che insegni il valore del peer to peer. Ossia dell’aiutarsi. Dell’importanza del collaborare. Ma, allo stesso tempo, che non penalizzi che ha difficoltà a relazionarsi con gli altri.

 

Una scuola che, in sintesi, crei uno spirito di comunità. Uno spirito di comunità che è alla base per poter creare un’identità di nazione che non si contrapponga, però, ad un’altra nazione, ma che sia in grado di collaborare con le altre nazioni, per costruire un Europa dalle mille identità, un mondo in cui si possa convivere.

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